Donald Trump è legittimamente candidato alla presidenza degli Stati uniti. Lo ha decretato ieri la corte suprema con una sentenza che annulla la precedente decisione della cassazione del Colorado che alcune settimane fa, in quello stato, aveva rimosso Trump dalle schede delle primarie in quanto protagonista di una insurrezione ai danni della repubblica. Quella iniziale squalifica era stata decretata in base all’articolo 3 del quattordicesimo emendamento alla costituzione, adottato dopo la guerra civile e che, accanto a fondamentali norme sull’uguaglianza (e l’abolizione della schiavitù), introduceva l’interdizione perpetua alle cariche pubbliche per chi avesse sostenuto la secessione.

I MAGISTRATI del Colorado avevano considerato Trump colpevole di insurrezione in base ai suoi ripetuti tentativi di sovvertire i risultati delle elezioni vinte da Joe Biden nel 2020, dapprima attraverso numerosi ricorsi, poi in un’escalation di azioni sovversive, specificamente le pressioni su vari stati per squalificare grandi elettori a lui contrari o «far saltare fuori» i voti necessari a cambiare il risultato. Infine, Trump aveva lanciato i suoi sostenitori all’assalto del parlamento per impedire la ratifica e ribaltare il risultato in extremis. Per il massimo tribunale del Colorado (nonché le autorità in Maine ed Illinois) la profanazione del Congresso corrisponde all’azione insurrezionale contemplata dalla costituzione.

LA CORTE non si è pronunciata sul merito dell’articolo originalmente introdotto per impedire che ufficiali e politici confederati venissero eletti al Congresso, ma ha decretato che la determinazione di idoneità a cariche federali non può essere lasciata alle giurisdizioni di singoli stati.

La sentenza, resa all’unanimità, non è giunta come una sorpresa, visti i commenti dei togati che nella fase dibattimentale si erano mostrati assai scettici sull’ipotesi di una squalifica “a tavolino”.

Era scarsamente credibile, comunque, che questa potesse essere lasciata ad autorità regionali, soprattutto dopo che lo stesso Congresso non era riuscito a certificare una condanna in fase di impeachment, la principale sede istituzionale preposta a sanzionare malefatte o «gravi delitti» presidenziali. Dagli stessi scranni dove poche settimane prima si erano accucciati per sfuggire alla furia dei rivoltosi trumpisti, i senatori repubblicani avevano invece negato la maggioranza necessaria alla sanzione che avrebbe di fatto radiato Trump dalla politica.

foto di Kin Cheung/Ap

Per la verità la Corte ha lasciato aperto uno spiraglio all’applicazione del quattordicesimo emendamento, qualora – dopo un’ipotetica vittoria elettorale di Trump a novembre – fosse lo stesso Congresso a certificare la sua non idoneità con una legge che definisca precisamente i parametri di cosa costituisce un’effettiva insurrezione. Un’ipotesi che avrebbe paradossalmente la quasi certezza di produrre un nuovo ricorso alla stessa Corte, e forse una nuova rivolta di una parte che ha ampiamente dimostrato la proclività a rifiutare esiti sfavorevoli.

TUTTA LA QUESTIONE ha sottolineato l’intreccio inestricabile di politica e giurisprudenza dell’attuale anno elettorale. Una prossima sentenza della Corte suprema dovrà aggiudicare un ricorso di Trump che chiede di annullare il procedimento penale a suo carico per i fatti del 6 gennaio 2021, in base ad una presunta «completa immunità» dei presidenti. Quella decisione, attesa per fine giugno, avrà un’importanza cruciale anche per gli altri processi, quello per tentata sovversione delle elezioni in Georgia e quello per sottrazione di documenti ufficiali in Florida. L’inizio del processo per i pagamenti illeciti allo scopo di insabbiare lo scandalo della porno star Stormy Daniels è previsto a New York il 25 marzo.

VI SONO POI i processi civili già aggiudicati, quello per frode fiscale legato alle valutazioni maggiorate delle holding di famiglia per ottenere crediti agevolati e quello per violenze sessuali e successiva diffamazione della giornalista E Jean Carrol. Complessivamente hanno prodotto maxi multe per quasi mezzo miliardo di dollari facendo balenare l’antecedente di una figura cui lo stesso Trump si è paragonato: Al Capone, mai condannato per le malefatte criminali ma inchiodato dal fisco.

Per ognuna di queste la migliore opzione per Trump rimane la stessa, vincere a tutti i costi e firmare la propria auto assoluzione.